La Corte dei Conti precisa che la prescrizione quinquennale per danno erariale matura da quando si ha conoscenza dell’illecito o dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno
Nell’ambito del complesso quadro normativo, si evidenza una situazione magmatica del concetto di “danno erariale” che, sebbene consolidato negli elementi strutturali, muta aspetto e configurazione. Ciò accade soprattutto a causa di interventi legislativi talvolta generici che richiedono una sempre maggiore attività interpretativa da parte del giudice contabile.
Anche relativamente alla disciplina della prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale (comma 2 dell’art. 1 della Legge n. 20/1994) è dovuta intervenire, ancora una volta, la Corte dei Conti (Prima Sezione Centrale di Appello) con la recente sentenza n.78/2022 ( pubblicata il 01/03/2022).
Una sentenza che coinvolge un docente universitario, ma che ha la sua importanza anche per il mondo della Scuola. Quest’ultima, come qualunque altra Pubblica amministrazione, deve far rispettare le disposizioni previste dall’art. 53 del D. Lgs 165/2001 (così come modificato dalla Legge 190/2012 e D. Lgs 75/2017) in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi.
Ricade sempre nell’art. 53, commi 7 e 8, D.Lgs. 165/2001 la “responsabilità amministrativa” e la “responsabilità sanzionatoria”. Prevedendo l’incompatibilità di incarichi retribuiti per i pubblici dipendenti i quali non sono stati autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.
Il rispetto, dunque, di tale prescrizione coinvolge tanto il dipendente pubblico che l’amministrazione di appartenenza (nel nostro caso la Scuola) per la parte sanzionatoria.
Sul punto, in passato la Corte dei Conti si è più volte pronunciata affermando la natura sanzionatoria della responsabilità in virtù dell’obbligo sancito dalla norma di restituzione del compenso all’amministrazione e dell’eventuale applicazione di ulteriori sanzioni.
Secondo il costante indirizzo della Suprema Corte (ex multis, SS.UU., ord. n. 17124/2019) l’obbligo di versamento, sancito dal succitato comma 7, si configura come una particolare sanzione ex lege volta a rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico.
La natura sanzionatoria sarebbe ancor più evidente se si considera il carattere disincentivante proprio di tale provvedimento, per così dire punitivo, desumibile dalla coincidenza dell’entità del versamento con quella delle somme indebitamente percepite dal pubblico dipendente, affinché questi sappia in partenza di non poter trattenere vantaggio alcuno da prestazioni che si appresti a svolgere in violazione del dovere di fedeltà.
La sentenza n. 78/2022 è importante perché va oltre al principio sanzionatorio, analizzando e sentenziando sulla prescrizione quinquennale del danno erariale che ne deriva da una condotta non conforme a quanto previsto dal già citato art. 53 D. Lgs. 165/200.
Precisiamo che l’obbligo di riversamento di cui all’art. 53, comma 7 bis, del D.Lgs. n. 165 del 2001 non esclude affatto la coesistenza di un danno erariale sempre derivato dall’espletamento di attività incompatibili o, comunque, esercitate in assenza di autorizzazione della Amministrazione di appartenenza.
Tuttavia, è bene precisare che in caso di esercizio di attività incompatibile o resa in assenza della prevista autorizzazione non necessariamente si configura automaticamente un danno erariale per la violazione del sinallagma contrattuale (ex multis, Sez. 1^ app., nn. 56, 188 e 192 del 2018, Sez. 2^ app., n. 138/2020; Sez. 3^ app., n. 7/2020), richiedendosi comunque la prova del danno nella sua esistenza in concreto e dell’elemento psicologico (es. sottrazione di energie lavorative all’amministrazione).
Nella sentenza è importante a tale riguardo un passaggio sottolineato dal Collegio dove si evidenzia che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero in caso di “occultamento doloso” del danno, dalla data della sua scoperta.
Così, si afferma la regola della decorrenza della prescrizione dal momento della conoscenza effettiva del danno a ragione del dolo, in luogo del principio della “conoscibilità obiettiva” dello stesso.
In breve, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito sorge non dal momento in cui l’agente compie l’illecito o dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile.