La Dott.ssa Anna Maria Campo oggi ci parla di “Inclusione scolastica – Uno sguardo all’Europa“.
Un articolo molto interessante che ci offre una panoramica completa dei sistemi educativi riservati ai disabili nei vari paesi europei.
La Dott.ssa Campo inizia la sua trattazione analizzando, dagli anni Ottanta, il cambiamento politico nell’atteggiamento e nella responsabilizzazione della società verso i disabili.
“Tale cambiamento si è sostanziato, in molti Stati dell’UE, in un passaggio dall’atteggiamento di “protezione-segregazione” alla filosofia dell’assistenza nella comunità sociale, fino a quella della “vita autonoma”.
Attualmente in molti Stati membri dell’UE, compresa l’Italia, le prestazioni di servizi per le persone disabili vengono svolte da organismi senza scopo di lucro, ma con sovvenzioni dello Stato e appalti pubblici, locali o nazionali pubblici.
In numerosi Stati membri, per persone con gravi forme di disabilità, si osserva da anni un’indiscussa tendenza verso la creazione di piccole strutture (comunità – alloggio, case – famiglia, basate sul principio della vita di gruppo integrata nel territorio) al posto dei tradizionali grandi istituti.
Per quanto concerne le politiche scolastiche, mentre in Italia, dopo la legge 104/1992 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), si è generalizzato il processo di integrazione scolastica nelle scuole comuni di ogni ordine e grado, in diversi altri paesi il passaggio dalle scuole speciali alle scuole ordinarie è, ancora, in fase di transizione, oppure si attua con precise limitazioni.
Nell’UE sono presenti, pertanto, almeno tre diverse realtà scolastiche nei confronti dei disabili: inserimento nelle scuole speciali, integrazione nelle scuole comuni, situazioni intermedie, da includere all’interno di tre differenti approcci:
- approccio unidirezionale, specifico di quei Paesi che tendono a inserire quasi tutti gli alunni nel sistema ordinario. È il caso di Spagna, Grecia, Italia, Portogallo, Svezia, Irlanda, Norvegia e Cipro;
- approccio multi direzionale, concernente quei Paesi che presentano una molteplicità di approcci all’integrazione. Questi offrono una pluralità di servizi sia nel percorso ordinario che in quello differenziato e il genitore può scegliere. È il caso di Danimarca, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Austria, Finlandia, Inghilterra, Lituania, Liechtenstein, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Polonia, Slovenia.
- approccio bidirezionale, riguardante Paesi in cui esistono due diversi sistemi educativi. Gli alunni disabili vengono inseriti in scuole o classi speciali e quelli con Bisogni educativi speciali non seguono la programmazione prevista dalla normativa per le classi normali. Questi paesi hanno una legislazione specifica, con norme diverse dalla scuola ordinaria. In Svizzera e in Belgio, il sistema scolastico differenziato è molto diffuso.
Per i casi tedesco e inglese la Dott.ssa Campo propone un approfondimento speciale vista la forma completamente diversa di approccio al caso esposto di questi paesi rispetto agli altri.
Presentazione a cura della Dott.ssa Paola Perlini.
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Contributo a cura della Dott.ssa Anna Maria Campo.
Inclusione scolastica – Uno sguardo all’Europa
A partire dagli inizi degli anni Ottanta, si è registrato un cambiamento politico nell’atteggiamento e nella responsabilizzazione della società verso i disabili.
Tale cambiamento si è sostanziato, in molti Stati dell’UE, in un passaggio dall’atteggiamento di “protezione-segregazione” alla filosofia dell’assistenza nella comunità sociale, fino a quella della “vita autonoma”. Questo processo ha incontrato e incontra, ancora, difficoltà di vario genere, ma ormai sembra irreversibile.
In Italia, a partire dagli anni ’70, sicuramente influenzati dai movimenti di protesta sessantottini, sono state approvate norme che, indipendentemente dai problemi attuativi delle stesse, esprimono il carattere autenticamente democratico del nostro Paese , fra queste: la legge 180/1978 concernente “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” (legge Basaglia) che impose l’apertura dei manicomi; la legge 81/2014 che istituì le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) in sostituzione negli ospedali psichiatrici giudiziari;
La legge 112/2016 “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, più nota come legge sul “Dopo di Noi” che prevede misure di sostegno alle persone con disabilità grave rimaste senza genitori (o tutori) o con questi non più in grado di occuparsene, nell’ottica di mantenere la persona con disabilità grave in un contesto famigliare, valorizzando le risorse della famiglia ed evitando, così, l’istituzionalizzazione.
Attualmente in molti Stati membri dell’UE, compresa l’Italia, le prestazioni di servizi per le persone disabili vengono svolte da organismi senza scopo di lucro, ma con sovvenzioni dello Stato e appalti pubblici, locali o nazionali.
Altri Stati membri mantengono tali prestazioni soltanto nell’ambito del settore pubblico, mentre altri ancora combinano servizi del volontariato e servizi pubblici.
In numerosi Stati membri, per persone con gravi forme di disabilità, si osserva da anni un’indiscussa tendenza verso la creazione di piccole strutture (comunità – alloggio, basate sul principio della vita di gruppo integrata nel territorio) al posto dei tradizionali grandi istituti.
Si sono sviluppati, infine, movimenti sostenuti da associazioni, organizzazioni di volontariato e ONG (Organizzazioni non Governative) che hanno favorito varie soluzioni per la vita indipendente.
Per quanto concerne le politiche scolastiche, se è vero che in tutti i paesi europei sono state affrontate le istanze educative dei soggetti con disabilità, le soluzioni finora adottate sono molteplici e si presentano ancora diversificate tra i diversi Stati.
Mentre in Italia, dopo la legge 104/1992 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), si è generalizzato il processo di integrazione scolastica nelle scuole comuni di ogni ordine e grado, in diversi altri paesi il passaggio dalle scuole speciali alle scuole ordinarie è,ancora, in fase di transizione, oppure si attua con precise limitazioni.
Nell’UE sono presenti, pertanto, almeno tre diverse realtà scolastiche nei confronti dei disabili: inserimento nelle scuole speciali, integrazione nelle scuole comuni, situazioni intermedie,da includere all’interno di tre differenti approcci:
- approccio unidirezionale, specifico di quei Paesi che tendono a inserire quasi tutti gli alunni nel sistema ordinario. È il caso di Spagna, Grecia, Italia, Portogallo, Svezia, Irlanda, Norvegia e Cipro;
- approccio multi direzionale, concernente quei Paesi che presentano una molteplicità di approcci all’integrazione. Questi offrono una pluralità di servizi sia nel percorso ordinario che in quello differenziato e il genitore può scegliere. È il caso di Danimarca, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Austria, Finlandia, Inghilterra, Lituania, Liechtenstein, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Polonia, Slovenia;
- approccio bidirezionale, riguardante Paesi in cui esistono due diversi sistemi educativi. Gli alunni disabili vengono inseriti in scuole o classi speciali e quelli con Bisogni educativi speciali non seguono la programmazione prevista dalla normativa per le classi normali. Questi paesi hanno una legislazione specifica, con norme diverse dalla scuola ordinaria. In Svizzera e in Belgio, il sistema scolastico differenziato è molto diffuso.
Una particolare attenzione meritano, per la specificità di ognuno, il caso tedesco e il caso inglese.
La Germania, da sempre contraria all’integrazione di alunni con disabilità e bisogni educativi speciali nelle classi comuni, ha da poco iniziato a creare leggi per l’inclusione in alcuni Laender.
In Germania, infatti, non è lo Stato centrale a decidere per l’istruzione, ma i singoli Laender in autonomia.
Questi possono decidere se inserire i ragazzi con bisogni educativi speciali in scuole speciali o in classi normali, mediante una normativa locale.
La legge tedesca permette l’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali nelle scuole dell’obbligo di tutti i Bundeslaender, ma l’opinione pubblica ostacola l’attuazione del modello inclusivo in alcuni Laender.
In Germania sono, ancora, diffuse, le Sonderschule, ribattezzate di recente Förderschulen, o scuole di sostegno, dove sono scolarizzati bambini e ragazzi con disabilità, alle quali, comunque, gli alunni tedeschi accedono dopo accurate visite e il consenso dei genitori, che possono optare per le scuole inclusive, dove sono inseriti i bambini con bisogni speciali in classi regolari con insegnanti di sostegno.
Si evidenzia la pesantezza dei prerequisiti agli apprendimenti strumentali richiesti per l’iscrizione alla scuola primaria normale tedesca per i bambini di 5 anni, nonché l’articolazione del sistema scolastico, dopo la scuola primaria, in Gymnasium, Hauptschule, Realschule, la prima caratterizzata da una formazione generale, la seconda e la terza professionalizzanti, che impone per l’alunno una scelta precoce e determinante per il suo futuro.
In un numero del settimanale tedesco Spiegel, pubblicato in occasione del trentennale dell’integrazione in Italia, intitolato “Inklusion – Illusion”, si affermava che “l’inclusione, in Italia, aveva portato il caos nella classe come prova che era ridicolo pretenderla o che i bambini disabili erano facile oggetto di bullismo da parte dei normodotati”.
Per quanto concerne il caso inglese si evidenzia che, in Inghilterra e Galles, in ogni scuola, un membro dello staff scolastico è nominato coordinatore per i bisogni educativi speciali con un ampio carico di responsabilità tra cui:
l’offerta di supervisione, il monitoraggio dei progressi degli alunni, i rapporti con i genitori e con le agenzie di sostegno esterno, il supporto al personale insegnante della scuola.
Lo staff della scuola lavora sempre più con tutti gli insegnanti per sviluppare approcci e strategie didattiche all’interno della scuola, piuttosto che direttamente con gli alunni in difficoltà.
La formazione iniziale rivolta agli insegnanti, comunque, fornisce loro le competenze necessarie per l’educazione di alunni con bisogni educativi speciali.
Molte polemiche hanno toccato il problema delle scuole differenziate, minacciate dal processo di inserimento degli alunni nelle classi comuni.
In questi paesi l’integrazione è difficile da realizzare, dato che il sistema scolastico ordinario è abituato a trasferire i propri problemi agli altri settori educativi, le scuole speciali.
Inoltre, gli insegnanti specialisti e gli altri professionisti del settore si considerano esperti nel campo dell’inclusione e ritengono di essere in grado di preparare adeguatamente gli alunni alla futura inclusione sociale.
La trasformazione delle scuole speciali in «centri di risorsa» è stata realizzata in molti paesi europei.
In altri, il modello è stato introdotto ed è in corso di attuazione.
Già negli anni ’80, alcuni paesi hanno definito il sistema scolastico differenziato come una risorsa delle scuole ordinarie.
Oggi diverse nazioni seguono questa strada, come la Germania, la Finlandia, l’Olanda.
Soprattutto i paesi dell’area nord-occidentale dell’Europa sembrano preferire con maggiore frequenza i settori formativi differenziati, all’opposto dei paesi dell’area sud europea e della penisola scandinava.
La trasformazione degli istituti e delle scuole differenziate in centri di ricerca è la tendenza comune nei paesi europei.
Molti documenti nazionali attestano la pianificazione, lo sviluppo o la creazione di centri di ricerca.
In generale, i compiti dei centri di ricerca sono i seguenti:
- proporre corsi e formazione agli insegnanti e agli altri professionisti del settore;
- sviluppare e diffondere materiali e metodi didattici;
- sostenere le scuole e i genitori;
- offrire sostegno a tempo determinato o part-time agli studenti;
- favorire l’ingresso nel mercato del lavoro.
Alcuni centri hanno una sfera d’azione nazionale, soprattutto quando hanno un target specifico (per esempio, per i disabili di lieve entità);
altri hanno competenze più ampie e operano a livello regionale.
Nei paesi in cui il settore differenziato è quasi del tutto assente, come la Norvegia e l’Italia, i centri di ricerca relativi alla disabilità in età scolare assumono un ruolo modesto.
Nei paesi in cui il sistema scolastico differenziato è relativamente ampio, i centri di ricerca hanno un ruolo attivo e la cooperazione tra il sistema scolastico differenziato e quello ordinario è fondamentale.
È opportuno ricordare che, anche in Italia, esistono ancora non classi, ma scuole speciali, anche se non se ne parla spesso.
Dall’inchiesta “L’altra istruzione”, pubblicata sul numero di aprile 2015 di SuperAbile Inail magazine 2015, emerge che, per alcuni alunni, sono l’alternativa più efficace a un percorso formativo deludente.
Si tratta di scuole speciali dedicate ai bambini e ai ragazzi con disabilità.
Una settantina di istituti, per sordi, per ciechi o basati sulla pedagogia curativa di ispirazione steineriana, sparsi su tutto il territorio nazionale (anche se una quota consistente si trova in Lombardia), a cui sono iscritti circa 1800 studenti.
La legislazione italiana non ha mai formalmente abolito le scuole speciali, ha solo spinto affinché l’istruzione degli alunni con disabilità avvenisse nelle classi “normali” della scuola pubblica, vietando le classi differenziali all’interno del sistema scolastico ordinario e istituendo la figura dell’insegnante di sostegno.
Così alcune di loro sono sopravvissute, dal nido alle superiori fino ai corsi di formazione professionale.
Le più numerose sono, però, le primarie.
Molte si appoggiano a un centro di riabilitazione o a una comunità alloggio, soprattutto quelle per ragazzi con disabilità gravi o plurime.
Tra i casi raccontati dall’inchiesta quello dei centri “Medea-La nostra famiglia” per cui le liste d’attesa sono molto lunghe o l’Istituto tecnico commerciale “Antonio Magarotto” di Padova, un istituto statale per l’istruzione specializzata dei sordi.
Anche se sono poche, dunque, le scuole speciali riescono a fornire strumenti di formazione iperspecialistici e, in alcuni casi, si configurano come delle vere e proprie eccellenze nel campo della didattica.
Un problema sul tema disabilità e curriculum è la scuola secondaria.
Come attestano più documenti nazionali, l’inserimento nelle classi comuni, in genere, procede bene nel primo grado della scuola dell’obbligo, ma in seguito presenta diversi problemi.
L’inserimento degli studenti disabili negli istituti secondari superiori è un tema complesso sia per la definizione del curriculum di studio che per le problematiche della didattica;
infatti l’aumento delle discipline specialistiche e le differenti modalità organizzative della scuola secondaria costituiscono un problema per gli studenti disabili inclusi nelle classi comuni.
Ne consegue che, in genere, la differenza apprenditiva tra gli alunni disabili e i loro coetanei aumenta con l’età.
Inoltre, in molti Paesi, l’istruzione secondaria è spesso caratterizzata da un modello selettivo con articolazione degli studenti in gruppi di livello.
Altro elemento negativo per l’istruzione superiore è l’accento costante sui risultati che stimola l’inserimento degli studenti disabili in scuole e classi speciali.
Le scuole, spesso, sono valutate in base ai risultati accademici che riescono ad ottenere e cresce la tendenza a giudicare le scuole sulla base di questi risultati.
È appena il caso di dire che questa tendenza è pericolosa per gli studenti più vulnerabili.
Va sottolineato che la maggior parte dei paesi ‘concorda’ sul fatto che l’inclusione nella scuola secondaria è una delle principali aree di intervento e che, già nel 2011, Il Rapporto Mondiale sulla Disabilità suggeriva che “i sistemi scolastici devono allontanarsi dalle pedagogie più tradizionali e scegliere approcci più centrati al discente che riconoscono ad ogni individuo una capacità di apprendere propria e un modo specifico di apprendimento”.