Fino ad ora abbiamo trattato l’argomento del sistema contributivo italiano, tenendo in considerazione i casi in cui i contributi versati fossero dai 5 ai 15 anni, dunque minori rispetto a quelli richiesti per l’ottenimento della classica pensione di vecchiaia.
Ma cosa succede qualora ci fossero dei contributi non versati?
Ciò può accadere, per esempio, nel momento in cui il datore di lavoro è inadempiente nei confronti del versamento dei contributi del proprio dipendente.
In tal caso, la risposta ci viene fornita dalla sentenza n. 2164/2021 della Corte di Cassazione (principio di automaticità per il diritto alla tutela previdenziale art. 2116 cc).
Il lavoratore ha comunque diritto alla pensione, ma solo fino al momento in cui i versamenti non finiscano in prescrizione.
Ricordiamo, inoltre, che il tempo stabilito per la prescrizione di tali contributi specifici è di cinque anni.
É impossibile per il lavoratore versare autonomamente le quote all’INPS, secondo il principio di irricevibilità dei contributi prescritti.
È tuttavia possibile, da parte del datore di lavoro inadempiente (sempre secondo la sentenza citata), ricorrere alla richiesta di una Rendita vitalizia.
Questa misura si utilizza per corrispondere al lavoratore, per il quale non si è pagato i contributi, una somma consona al danno subito.
In tal caso, al dipendente verranno accreditate delle quote pari alla pensione che avrebbe ottenuto qualora le quote fossero state correttamente versate.
Ricapitolando, dunque, possiamo esplicitare che esistono due soluzioni, a seconda che i contributi che non sono stati versati siano andati in prescrizione o meno.
Se non vi è ancora stata prescrizione, il lavoratore può soltanto comunicare all’INPS l’inadempienza da parte del proprio datore di lavoro e, qualora necessario, ricorrere anche in giudizio contro quest’ultimo.
Se, invece, le somme sono già finite in prescrizione (al termine dunque della scadenza quinquennale), non è più possibile da parte del lavoratore richiedere la regolarizzazione della posizione assicurativa per conto dell’INPS.
Egli potrà comunque avvalersi di una richiesta di risarcimento del danno patrimoniale e agire contro il datore di lavoro affinché attualizzi il sistema della rendita vitalizia citata.
Articolo di Sara Barone