Disabilità, BES, disturbi specifici dell’apprendimento e didattica inclusiva. Tutti termini con i quali siamo ormai abituati a convivere nel nostro sistema scolastico. Essi hanno a che fare con il mondo dell’uguaglianza, della parità sociale, del diritto di ogni essere umano ad essere parte integrante di una comunità che lo rispetti, lo salvaguardi e gli dia gli strumenti più opportuni per ogni più specifica esigenza.
È un mondo che ha a che fare con una sfida, quella di garantire a ogni bambino l’opportunità di vivere, crescere e rapportarsi agli altri nonostante ogni diversità, ogni distinzione e / o difficoltà.
Non sono pochi in Italia gli studenti, di ogni ordine e grado, che rientrano nelle categorie più fragili, con differenze che si sono via via ampliate sempre di più anche a causa dell’emergenza Covid-19 e, di conseguenza, la didattica a distanza, che ha sfavorito il contatto umano e dunque evidenziato le difficoltà di ciascuno.
Quello della disabilità e dei bisogni speciali è un vero e proprio universo. Un luogo in cui insegnanti, collaboratori, genitori e professionisti devono collaborare sinergicamente, al fine di adempiere ai diritti sanciti non solo dalla semplice morale di ogni essere umano, bensì anche dalla nostra Costituzione Italiana (si rimandi, ad esempio, agli articoli 34 e 38, rispettivamente riguardanti il diritto allo studio e il principio di uguaglianza).
Da queste premesse vogliamo partire per affrontare oggi il tema della Disabilità nel sistema scolastico, cercando di capire quali possano essere i supporti più adeguati all’inclusione dei più fragili, nonché i sistemi più consoni alla gestione sia del contesto didattico-pedagogico sia, non di minor importanza, di quello socio-relazionale nei rapporti tra coetanei e tra alunno-insegnante-genitore.
Noi di Scuola PSB Consulting ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Federica Pelella, docente specializzata nella funzione strumentale degli studenti con disabilità e degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento.
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Salve Prof.ssa. Oggi affrontiamo un tema molto delicato qual è quello della disabilità nei contesti scolastici. Comincerei partendo dal principio.
Riforme, normative, leggi che si susseguono e vengono modificate di anno in anno. Cosa significa essere un alunno disabile nel nostro sistema italiano e qual è la situazione attuale nel nostro Paese numericamente parlando?
L’alunno con disabilità, teoricamente, è sempre più al centro dell’attenzione nel nostro Paese. In tutti i settori si dà particolare importanza ai suoi bisogni. Però, spesso, non si realizza un’azione concreta. Ci si adopera per intervenire con norme e protocolli, ma rimane un quadro piuttosto teorico, mentre nella pratica le difficoltà permangono.
Dal punto di vista numerico, sicuramente possiamo dire che le certificazioni, in questi ultimi anni, sono in aumento, soprattutto legate ai disturbi del comportamento. Secondo me, ciò è conseguenza della società in cui viviamo, che tende a isolare di più le famiglie.
Eppure, ci sono, purtroppo, delle differenze sostanziali tra Nord, Centro e Sud del paese. Trento, per esempio, ha a disposizione dei centri specifici per alunni con bisogni speciali. In che situazione ci troviamo noi in Campania rispetto ad altre regioni italiane?
L’obiettivo che la scuola si prefigge è quello di creare un ambiente favorevole all’apprendimento, ma che possa anche fornire allo studente un’occasione per sviluppare l’autonomia e prospettare un progetto di vita qualitativamente migliore.
Al Sud, con le sue contraddizioni e i suoi limiti, così come è evidente a tutti, le difficoltà sono maggiori, soprattutto a causa della carenza di risorse; perciò, diventa complicato il processo inclusivo cui la scuola è chiamata. La differenza tra Nord e Sud si riflette negativamente sui percorsi scolastici degli alunni con disabilità, perché nel Meridione c’è una mancanza di risorse esterne alla scuola che supportino il lavoro degli insegnanti.
Ciò nonostante, grazie all’impegno individuale dei soggetti coinvolti, tra questi i dirigenti scolastici che sono in grado di ottimizzare le risorse che hanno a disposizione, si riescono a introdurre tante attività che concorrono a garantire, o quantomeno a cercare di garantire, l’inclusione scolastica.
La formazione degli insegnanti, sia iniziale che in itinere, è alla base di qualsivoglia soluzione. Un punto di partenza per impostare un piano didattico che funzioni. Come crede che dovrebbero formarsi gli insegnanti per essere al passo con le richieste sempre più incombenti e specifiche degli alunni con fragilità?
I corsi di formazione per l’abilitazione all’insegnamento del sostegno hanno, senza dubbio, dedicato uno spazio più ampio alla parte pratica, la quale comunque resta ridotta rispetto ai percorsi teorici, che sono molto distanti dalle realtà scolastiche.
È come se viaggiassero su due binari distinti. Non ci sarà mai un corso che potrà preparare all’esperienza che poi si vivrà nelle scuole, ma credo che la parte dedicata al tirocinio attivo, all’esperienza diretta dovrebbe essere maggiore. Se è vero che i corsi offrono la possibilità di un lavoro, non danno però la consapevolezza, in un lasso di tempo così breve, di cosa avvenga negli istituti.
Eppure, non solo docenti di ogni ordine e grado. Anche professionisti e soprattutto il sistema famiglia dovrebbe collaborare nel piano didattico specifico. Che ruolo svolge la famiglia? Quanto è importante che si crei sinergia anche con quest’ultima?
L’alleanza scuola-famiglia è e resterà sempre un tassello importante del percorso inclusivo. Le ultime riforme, in particolare il decreto interministeriale 182, ci mettono di fronte a una preoccupazione forte, ovvero la riduzione del ruolo della famiglia, che da componente che elabora un PEI viene relegata a soggetto che partecipa ai lavori del GLO. Auspico che si possa nei fatti continuare il dialogo e la condivisione tra scuola e famiglia in modo razionale e consapevole perché, al di là di tutto, l’inclusione può attuarsi soltanto se si progetta e si opera insieme.
E tra coetanei, invece? Come crede che si comportino in tal senso gli adolescenti di oggi e come è possibile creare dei “ponti comunicativi” tra studenti, ai fini dell’inclusione?
I ponti comunicativi possono essere creati solo se non si considera la disabilità come una questione a sé stante, da affrontare nella sua individualità. La disabilità si inserisce in un discorso ampio che coinvolge i coetanei, ma soprattutto le famiglie. Se c’è l’accettazione da parte dei genitori, di riflesso ci sarà anche da parte dei figli e quindi del gruppo-classe che non considererà più il compagno disabile come altro da sé.
Dal punto di vista psicologico, didattico ed emotivo, quanto ha pesato l’emergenza Covid-19 e l’utilizzo della DAD?
L’esperienza del lockdown, con la scuola a distanza, ha creato inizialmente tante difficoltà. La nostra preoccupazione era, soprattutto, quella di non perdere un canale di comunicazione con i ragazzi e di non farli sentire soli. Insomma, di creare il più possibile una rete relazionale. Abbiamo per questo sfruttato tutti i canali comunicativi a disposizione.
All’inizio dello scorso anno scolastico, quando siamo tornati in presenza, era molto percepibile l’impegno da parte degli studenti di riprendere una didattica più tradizionale. Quello è stato un momento fondamentale che ci ha poi aiutato a proseguire il percorso formativo laddove si era in qualche modo fermato.
Nello specifico del suo lavoro, cosa significa occuparsi della funzione strumentale degli studenti con disabilità? Cosa è cambiato e quali sono gli strumenti più importanti anche a seguito dell’emergenza pandemica?
Il mio ruolo è quello di raccordo tra scuola, famiglia e territorio. Partendo dall’accoglienza dell’alunno nella fase di iscrizione, mi preoccupo di conoscere la sua storia attraverso gli incontri con la famiglia e, se possibile, con tutte le varie figure istituzionali che vi ruotano attorno. È molto importante che gli alunni possano fin dal primo giorno di scuola trovare un ambiente accogliente.
Questa attenzione ai bisogni degli alunni, con le loro necessità, è per me prioritaria e persiste per tutto il percorso scolastico. Ciò a cui tengo particolarmente è che i ragazzi possano fare le scelte migliori per sé stessi e che non sempre coincidono con quelle iniziali.
Per concludere, siamo a ridosso delle elezioni e dunque di un rinnovamento. Quale impostazione si augura che il nuovo Governo assuma nei confronti delle disabilità e dell’inclusione scolastica?
Mi auguro che non venga dato spazio a un’eccessiva burocratizzazione degli interventi e che si possa avere una progettazione reale da attuare seriamente con aiuti economici mirati e opportuni. Penso, ad esempio, al progetto di vita che, se adeguatamente articolato, potrebbe fare veramente la differenza, in quanto accompagnerebbe i ragazzi nel loro percorso oltre la scuola.
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Intervista e presentazione a cura di Sara Barone